Facciamo un passo indietro di molti anni, ma anche di pochi, e rimaniamo ad osservare. Entriamo dentro film horror del passato attraverso fotografie: scopriamo la storia degli scatti e quella dei lungometraggi.
Hanno qualcosa di speciale le foto? Esploriamo!
Il primo zombie in stile Romero
Night of the Living Dead (1968) di George A. Romero
Se l’avessero seppellito sarebbe tornato in vita, era solito dire per scherzo alla figlia. Per sua scelta, alla fine, fu cremato. Samuel William Hinzman, detto “Bill”, è il primo attore che nel cinema ricopre i panni di uno zombie, nel paradigma di non-morto antropofago proprio dell’immaginario collettivo. Dove? In Night of the Living Dead, film low cost del giovane e determinato George A. Romero. Bill è uno dei sette attori assunti per il progetto, con cui nasce la Image Ten Productions, formata da lui, Romero e il rimanente staff.
Nella pellicola in bianco e nero non mancano errori. Sono contraddizioni sul piano logico che non ostacolano, però, la fluida e gradevole visione: la il buio della notte cala all’improvviso da un’inquadratura all’altra; nello stato di decomposizione in cui dovrebbero trovarsi gli zombi, all’inizio o avanzato, i muscoli sono rigidi e i movimenti complicati (a qualche ora dalla morte ha inizio ciò, il cosiddetto “rigor mortis”), ma le gambe non sempre risultano difficilmente flessibili (per i passi dovrebbero esserci quasi delle cadute), e le braccia si muovono fluidamente. Come affermò lo stesso Romero gli zombie non corrono, poiché le caviglie si spezzerebbero. Essendo morti viventi il pensiero è giusto, ma nel film sembrano troppo agili. Possiamo sottolineare l’errore, ma non pretendere di certo la perfezione da un film il cui genere è ancora in sviluppo alla fine degli anni 60’.

Friday the 13th
(1980) di Sean S. Cunningham
“Sai nuotare?”. Al
giovane Ari Lehman, durante la sua audizione per Friday the 13th, è stata posta questa domanda. Si
cercava qualcuno per la prima apparizione del personaggio di Jason, nel primo
film della saga horror, e Ari era uno dei candidati. Egli si sarebbe mostrato
nel colpo di scena verso la fine e avrebbe rivestito un ruolo minore, proprio
come quello che lo aveva visto nei panni di Roger in Manny’s Orphan, anche questo di Cunningham. Ed è proprio qui che il
regista ha una buona impressione dall’attore ed è portato a sceglierlo per il
cast. Visibile solo per 5 secondi, mentre trascina verso il fondo di un lago Alice,
che sta nel bel mezzo in una barca, Ari e il suo volto deformato sono diventati
noti al pubblico e parte della cultura filmica di quegli anni e di anni dopo.
Grande merito va alle doti artistiche di Tom Savini
che trasforma interamente la testa dell’attore, conferendo grande terrore al
personaggio. Tom incominciò ad operare nei film prima come make up artist e
tecnico degli effetti speciali (Deathdream,
1972, è il primo titolo) e poi come attore. Grazie alle due arti, unite in una
sola figura, fu assunto anche per i film Friday
the 13th: The Final Chapter, The
Texas Chainsaw Massacre 2 (Non aprite
quella porta 2), H.P. Lovecraft’s : Necronomicon
(in questi come make up artist/tecnico degli effetti speciali), Grindhouse-Planet Terror, Django Unchained (qui come attore). Tom
è anche direttore: Night of the Living
Dead (remake di quello del 1968); tre episodi della serie tv Tales from the Darkside; una parte di The Theatre Bizarre.

Phenomena
(1985) di Dario Argento
A stento sta a galla. Urla: “Aiuto!”. Va giù con la
testa. Una boccata d’aria. “Aiuto!”. Sangue e animaletti striscianti l’uno
sull’altro intorno a sé. Ossa private della carne, tra cui ben distinti dei
teschi. In questa vasca, costruita nel pavimento e nascosta nella casa di un
killer che non vede fine agli omicidi, le vittime esanimi sono consumate dalla
fame di questi insetti. Jessica fa di tutto per salvarsi. Cerca di aggrapparsi
ai bordi ma scivola. La porta si apre ad entra il killer.
“Sono larve di una mosca, la “grande sarcofaga” : un
nome minaccioso, degno dell’attività dell’insetto che le porta. Si nutre
esclusivamente di cadaveri o di resti umani. Il distruttore. Il divoratore
supremo”. In questo modo il professor John McGregor parla di due specie di insetti
che ha analizzato. Egli è uno dei personaggi di uno dei maggiori prodotti di
Dario Argento, Phenomena. Le larve
sono le stesse che riempiono la vasca (che vediamo in parte nella foto), in cui
Jessica Corvino, protagonista del film, è caduta. Ciò avviene a quasi 15 minuti
dalla fine dell’opera. La ragazza si trova nella galleria della casa di quello
che ha scoperto essere l’assassino degli omicidi misteriosi della città. Sta
componendo un numero dal telefono per chiamare e chiedere aiuto, ma viene presa
da un uomo in catene, un ostaggio, attraverso un buco che collega la galleria
ad un stanza, e viene portata qui. Lei si agita, si libera dalla presa,
indietreggia e cade nella vasca.
Il film narra di una ragazza, Jennifer Corvino, che
viaggia a Zurigo per studiare in una accademia internazionale. Alloggia in un
pensionato di sole ragazze, ma non si trova ben inserita. Lei ha una forte
passione per gli insetti per la quale li ama tutti. Sono gli unici amici che la
accompagnano dall’inizio alla fine di questa avventura tragica, ma dal grande
fascino, in cui l’uomo e la natura che si manifesta (in greco phaìnomai, manifestarsi, da cui phainòmena, manifestazioni, fenomeni) nei
suoi animali sono due personaggi importanti. Essi sono un duo che collabora a
scovare un assassino che non vuole fermarsi dal mietere vittime, e insieme
trionferanno.
Il titolo del film è riconducibile anche
all’ambiente caratteristico di Zurigo: qui soffia un vento particolare, che
favorisce la fioritura e lo schiudersi delle uova di larve, ma che causa anche,
nelle persone, mal di testa e comportamenti insoliti, che potrebbero portare
alla pazzia. Il vento è un altro fenomeno. Non si vede ma influenza la vita
attorno, che accarezza scorrendo. Benefico, ma soprattutto pericoloso.
Dolly Dearest (1992) di Maria Lease
Da solo, nella notte. Quello che dovrebbe essere il
guardiano della fabbrica si trova dentro l’edificio, e mentre intraprende un
dialogo immaginario con una bambola, la pone seduta su un tavolo vicino. Poi si
allontana poiché ha sentito dei suoni. Abbiamo una momentanea stasi del
filmico, non vi sono movimenti di macchina. Solo quello del capo della bambola: essa muove la testa a sinistra e guarda, guarda verso di noi. Nella foto in
alto è rinchiuso l’istante in cui la bambola guarda con la testa ruotata. Non
un fatto normale, ma un oggetto inanimato che si muove spontaneamente.
Era un dono del padre. Una bambola graziosa di cui
Jessica sarebbe diventata la padrona. Ma il male contenuto in quell’oggetto
ludico prima influenzerà la bambina e poi si prenderà il suo spirito.
Dolly
Dearest riguarda una famiglia che si trasferisce in Messico
per motivi di lavoro del padre, il quale vuole riaprire una fabbrica di bambole
e vendere. Nonostante lo spostamento la situazione sembra tranquilla, ma dopo
che la figlia del commerciante riceve in regalo un modello di bambola, la
situazione incomincia a farsi tesa. Tutte le bambole, e pure questa, sono
possedute da uno spirito della cultura di un popolo antico del luogo,
risvegliato dalle ricerche presso le rovine storiche. La bambina, la famiglia e
le persone che sono coinvolte nelle vicende dovranno vedersela con queste bambole
assassine.
La bambola della bambina, Dolly Dearest, il nome
commerciale, ma anche tutte le bambole prodotte nella fabbrica camminano,
parlano , urlano. Straordinario. Malefico.
Cara, carissima Dolly.
Shutter (2004) di Banjong Pisanthanakun e Pargpoom
Wongpoom
Si rivolge allo spirito. “Esci fuori”. Vuole farla
finita con questa persecuzione, vuole liberarsi di questa presenza e
dimenticare il passato. Il fantasma si mostra nelle foto, quindi incomincia a
scattarne. Una dopo l’altra. Non si ferma. Ma stavolta niente di anormale,
nessuna figura. Poi la rabbia e lancia la macchina fotografica. Ne esce una
foto. L’ultima fotografia istantanea.
“Sembra che gli spiriti, a volte, vogliano rimanere
accanto a quelli che amano.”
Fasci di luce, ombre, elementi imprevedibili possono
essere errori delle nostre foto dati dalla casualità dei momenti o dalla
distrazione; ma se sembrano inspiegabili può capitare di associarli (per
scherzo o seriamente) a qualcosa di immateriale, a spiriti. Tun e Jane,
protagonisti del film horror Shutter
sono portati a credere a queste presenze, per le strane foto che scatta Tun.
Cercando risposte alle loro domande si rivolgono alla
redazione di una rivista che pubblica foto di questo genere. “Sembra che gli
spiriti, a volte, vogliano rimanere accanto a quelli che amano.” Così il
direttore afferma durante la conversazione con i due ospiti. Ci sono tanti
falsi, ma altrettanti scatti incredibili. Qual è la verità di queste foto, molte
delle quali non manipolabili perché istantanee? Sembra che essa si trovi nella
foto e spesso si riscopre nel legame tra le figure evanescenti e le persone che
condividono lo spazio della stessa foto.
Il film racconta le vicende di due fidanzati, Tun e
Jane, e il loro contatto con il paranormale. Lo spirito di una ragazza che ha
amato Tun in vita perseguita lui e il suo gruppo di amici, volendo ucciderli
tutti. La verità sul passato si scopre attraverso le foto, quelle nascoste, e
il fantasma del presente si rivela soprattutto attraverso gli scatti. Molto è
filtrato dalle fotografie.
Il titolo del film,
Shutter, che vuol dire “otturatore”, indica il dispositivo meccanico o
elettronico che ha il compito di controllare per quanto tempo la pellicola o il
sensore (nelle fotocamere digitali ) resta esposto alla luce.
Con le foto il tempo si è fermato: abbiamo penetrato il momento e conosciuto la scena e chi l'ha vissuta in prima persona. Gli scatti mostrano film del passato. Abbiamo visto e sappiamo ciò che è stato. Il passato non esiste più, è morto. Ma senza il passato non possiamo andare avanti.
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Friday the 13th ha dato tanto al genere horror. Fidatevi di loro! |
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